Non si tratta in questo caso né di una chanson de départie né tantomeno di una canzone di crociata tradizionalmente intesa, ma di una classica canzone d’amore cortese che inizia con lo stile leggero di una pastorella per finire tragicamente a causa dell’indifferenza della dama e dell’azione perniciosa dei calunniatori. L’unico accenno alla partenza per la crociata si trova al v. 8, alla fine della prima strofa, ma questo semplice accenno riferito a un personaggio come il Castellano di Coucy di cui si conosce l’effettiva partecipazione a due crociate e la leggenda d’amore e morte celebrata nel romanzo che lo vede protagonista invita a considerarla parte integrante del corpus (per altri argomenti si veda Dijkstra 1995a, 55-56). Si può trovare inoltre qualche punto di contatto con la canzone RS 679, dove la dama sembra indifferente alle sofferenze dell’amante (vv. 13-14) e il poeta biasima l’azione dei calunniatori (vv. 33-34), ma lo stile dei due testi è comunque molto diverso.

7L’inizio di questa canzone ricorda una pastorella anche per i frequenti diminutivi e il riferimento alla nudità; si veda per esempio la “canzone-pastorella” di Jocelin de Dijon RS 95, 11-20. I riferimenti espliciti alla nudità non sono molto numerosi nella lirica francese e quasi tutti al di fuori della canzone cortese.

8Le molteplici strategie dilatatorie adottate dalla tradizione manoscritta (ançoiz qu’aille, ains que voise, ains que j’aille, ains k’en aille), che arrivano fino alla produzione di lezioni ipermetriche come quella di L (ains que je m’en voise) e di UV (ainz que je voise) suggeriscono l’esistenza di uno iato originario ains ke aille.

10La lezione ipometrica di C e la diffrazione iniziale della tradizione (ja ne, je ne, que ne, qu’onc ne, qu’ains ne) fa sospettare l’esistenza di un originale ne ne iniziale, con ripetizione sillabica che ha facilitato la soppressione di un elemento (come attestato da C). Tale soluzione è resa difficilior dal fatto che in questo caso la frase è coordinata a una prima sentenza positiva (ma la possibilità di questo uso è documentata da Ménard § 214, pp. 198-199; per la successione ne ne si veda Ménard § 419 punto 1°, p. 332), ed è in ogni caso attestata dai mss. AMa al v. 28.

14-15Il problema principale del v. 14 riguarda la presenza o l’assenza di una negazione iniziale, che porta a due interpretazioni diverse. La variante con negazione è attestata dai mss. CU+KLPVX ed è accolta da tutti i principali editori, ma ha tutta l’aria di un’interpretazione facilior e scontata. Si potrebbe invece restare fedeli a AMOR³Ta intendendo i due verbi come metafore feudali (retenir significa “prendere al servizio”, mentre quiter significa “liberare dal servizio”; si veda del resto l’interpretazione in questa direzione di Bédier 1909 e Lerond 1964) o anche in senso proprio (in questo caso “tenere con sé” e “lasciare, abbandonare”) col significato di “se mi vuole prendere e (poi) lasciare”, oppure “se mi vuole prendere (al suo servizio) e liberare”; in questo caso la negazione non mi pare affatto necessaria. Per quanto riguarda il v. 15, va ricordato che prometre può significare anche “concedere, dare una speranza” o “ordinare” (cfr. God X, 430c e VI, 432a) e soprattutto il primo significato sembra interessante, visto l’uso del congiuntivo che potrebbe essere interpretato con valore ottativo analogo al tipo si m’aït Diex.

19Il valore di scherno insito nella lezione quant de moi rit di MOR³T non è mai attestato in questa forma nella lirica francese e si adatta male all’idea della “dolce morte” espressa nel verso successivo. Deve trattarsi di un sorriso, forse crudele, ma pur sempre di un vero sorriso, e per questo si preferisce in questo caso la lezione ele se rit attestata in modo compatto dai testimoni delle altre due famiglie e confermata anche da Aa. Si veda per esempio Tristan en prose (ed. Curtis) III, iii, 688, 55 (p. 14): Amors me rit, et puis me point jusques au sanc.

23La lezione di ACUa è l’unica che non lega sintatticamente questo verso al precedente, evitando così una fastidiosa contraddizione (non ha molto senso dire che la dama uccide l’autore per il fatto che egli l’ha amata lealmente dopo aver appena detto che non ha nessun motivo per farlo); mi sembra molto più efficace isolare sintatticamente i vv. 23-24 e interpretarli nel senso che proprio perché l’autore ha amato lealmente la dama, questa non ha alcuna scusa.

35Non condivido l’opinione di Lerond 1964, p. 81 che vede in nenil/naie di MR³T una lectio difficilior giustificandola con un’interpretazione troppo forzata per essere plausibile. Mi sembra al contrario che la negazione sia una lectio facilior suscitata dall’idea che l’autore non possa rassegnarsi passivamente a un destino ingrato. Ma tale destino è reso inevitabile dall’intervento dei calunniatori e in ogni caso l’espressione teux est mon destin / ma destinee nella lirica francese esprime quasi sempre l’idea di rassegnazione a un’opzione negativa. Si veda peraltro la corrispondenza con RS 679, 9-11: Beaus sire Diex, k’iert il dont et coment? / convenra il k’ens la fin congié praigne? / Oïl, par Dieu, ne puet estre autrement.

38-39Questa frase dal sapore proverbiale non è chiarissima, anche se il senso generale è comprensibile: i calunniatori che sottraggono la gioia d’amore alla fine non potranno che rimetterci. Alcune accezioni della formula faire don potrebbero far pensare a un uso in senso passivo (“ricevere in regalo, gratuitamente”), nel qual caso si avrebbe il senso molto più chiaro di “chi sottrae ciò che non può avere in dono”; ma si potrebbe anche interpretare più semplicemente “chi sottrae (ad altri) ciò che lui stesso non può offrire”, cioè amore. Si veda Colin Muset RS 989, 8-12: Amors ont malvais renon, / car li riche al cuer felon / sont amé por faire don, / et li cortois povres hom / aime seus.