Il testo affronta con argomenti nuovi e formule inedite un tema tipico delle canzoni di crociata francesi: quello della difficile scelta tra l’amore alla dama e il servizio a Dio, inaugurato da Conon de Béthune e illustrato principalmente da trovieri come il Castellano di Couci, Hugues de Berzé e Thibaut de Champagne. Inedita è anche la forma del dibattito. Nella lirica in lingua d’oïl non ci sono altri jeux-partis che mettono a tema l’alternativa tra l’amore cortese e la partenza per la crociata. Accenni a dibattiti fittizi si trovano all’interno delle canzoni RS 6 (vv. 8-14) e RS 1152 (vv. 19-27) di Thibaut de Champagne, ma in nessuno dei due casi è messo a tema l’amore cortese. Al di fuori del genere lirico, il riferimento più pertinente sembra quello alla Desputizons dou croisié et dou descroisié di Rutebeuf, ma anche in questo caso si tratta di un dibattito fittizio e gli argomenti del décroisé non contemplano l’amore. Per quanto riguarda la lirica trobadorica, i dibattiti con a tema la crociata sono più frequenti, ma sono di argomento politico più che amoroso; si può trovare eventualmente qualche affinità con la tenso tra Aimeric de Peguilhan e Elias d’Uisel (BdT 10.37 = 136.5), dove però la crociata resta solo sullo sfondo. Walter de Bibbesworth adotta un tono serio e morale, tipico della predicazione e dei documenti ufficiali, mentre Henri de Lacy privilegia l’ironia e la leggerezza, facendo sollevare qualche dubbio sulla serietà del dibattito. La strenua ricerca delle rime equivoche e delle omofonie (paradigmatici i quattro casi di soil) fa pensare a un esercizio di stile o di lingua, come quelli già presenti nel Tretiz (si veda Trotter 1988, p. 210; Rothwell 2008, soprattutto a p. 126; Hinton 2017, pp. 855 e 877-878; Hinton 2018. Va sottolineato inoltre che la maggior parte delle rime in -oil usate nel jeu-parti si trovano anche in una serie di versi contigui del Tretiz (versione G, vv. 101-110; si veda Hinton 2017, p. 878). Secondo Dominica Legge anche la canzone mariana attribuita a Walter, anch’essa costruita su omofonie, rime equivoche, rime grammaticali e rime derivative, «is an exercise in ‘grammatical’ rhymes addressed, possibly, to the same lady as the treatise» (Legge 1963, p. 348).

Per quanto riguarda la rubrica introduttiva, secondo Hinton 2018, pleinte sarebbe un errore per pleit (‘dibattito’). La forma Nychole per Lincoln si trova anche per esempio nella cronaca di Pierre de Langtoft (varianti Nincole o Nicole), dove indica a più riprese proprio Henri de Lacy. Nella rubrica Ceo comence le counte non ritengo necessario correggere ceo in ci come fa Thiolier, perché non si può escludere che si tratti ancora una volta di un dimostrativo neutro che riprende il precedente.

3 La proposta di Henri de Lacy rispetta i canoni del jeu-parti, perché propone due alternative e lascia la scelta all’interlocutore. La replica di Walter de Bibbesworth però non si limita a sostenere una delle due alternative, ma si oppone all’amore in generale.

4 Il presente di soloir ha valore di preterito (Ménard § 132, p. 131).

7 Nessun documento storico conferma che Henri de Lacy abbia effettivamente preso la croce come sembra sostenere in questo verso.

8 La doppia ipermetria si può facilmente risolvere eliminando la congiunzione iniziale superflua e forse erronea (per anticipazione del v. 10) e restaurando un’elisione s’utre.

13 Per evitare l’ipermetria occorrerebbe eliminare il beau iniziale rendendo così l’inizio della strofe analogo alle altre due scritte da Walter. È altresì possibile, e forse persino probabile, che l’ipermetria possa essere sanata dalla pronuncia monosillabica di sir(e), ben attestata in anglonormanno (Short § 19.7), visto che la forma sire si riscontra in corrispondenza di altri versi ipermetri (vv. 25, 37 e 61). Invita però alla prudenza il fatto che il v. 1 sia regolare considerando sire come un bisillabo.

14 Il riferimento al caprifoglio è utilizzato in modo opposto rispetto a quello che fa Marie de France nel famoso passo di Chievrefoil 68-76, forse per opporre realismo a letteratura. Secondo Legge 1963, p. 348, infatti: «One stanza is a kind of ‘anti-Chevrefoil’ in which the author of the treatise displays, as might be expected, a more accurate knowledge of natural history than Marie de France». Va ricordato tuttavia che il rampicante non danneggia gli alberi attorno ai quali si avvolge. Forse si può ribaltare l’affermazione di Legge sostenendo che l’esempio di Walter è più letterario che realistico, e vuole prendere di mira proprio il destino di morte degli amanti celtici.

21 Le cordes sono in questo caso le ‘liane’ del caprifoglio, cioè il fusto.

25 Per correggere la grave ipermetria occorrerebbe eliminare sire (si veda il v. 49), e come di consueto la e muta di qe. Un’altra possibilità sarebbe eliminare hay iniziale e considerare sir(e) monosillabico, per cui si veda il commento al v. 13. Secondo Hinton 2018, Vernoil «was the toponymic of one of the de Lacy’s tenant families in Eggborough».

31 Il verbo partyr qui avrà il senso di ‘condividere, partecipare a, aver parte’.

36 La forma epitetica Damasse è attestata dall’AND, ma in questo caso la e finale non va letta se si vuole ottenere un ottosillabo corretto. L’espressione ha un tratto d’ironia, come tutta la parte di Henri de Lacy, che rifiuta persino di oltrepassare la propria porta in direzione di Damasco.

37 Il raro sostantivo remoil ‘disgelo’ si trova nel Tretiz dello stesso Walter de Bibbesworth (G 106, con glossa þowinge = ‘thawing’) e nel vers De l’Yver et de l’Esté, anch’esso di origine inglese (vv. 14-15: Tiel vodreit aver remoil / a cui je doins grysil e glace). La stessa forma ha però qualche attestazione anche sul continente, sebbene con un significato leggermente diverso (‘umidore, umidità’); si veda Eneas 8412: quant li tressailloient li oil / qui toz tens erent an remoil e Exhortation à l’amour divin, 114: et des lermes meslees sentont le doux remoil. Ci sono due ipotesi in questo caso per correggere l’ipermetria del verso: o ridurre ausi a si oppure eliminare l’articolo indeterminativo un, la cui funzione non è chiara. Del resto l’attestazione dell’Eneas suggerirebbe di correggere un in en. Per la possibilità già evocata di considerare sir(e) monosillabico, invece, si veda il commento al v. 13.

41 Per soil si veda il commento di Thiolier-Méjean, che lo ritiene un termine della caccia per indicare un luogo fangoso, un pantano (si veda TL 9, 768, 15ss e le varie occorrenze del Tretiz segnalate dall’AND, soprattutto s.v. soil²).

43-44 L’espressione significherà ‘trascurate di guadagnarvi, meritarvi’. Il v. 44 si riferisce evidentemente al paradiso, come in RS 401, 19.

47 Il maufé per eccellenza è il diavolo, ma può indicare qualsiasi spirito malvagio.

48 A mia conoscenza, l’unica altra occorrenza di garoil è proprio nel Tretiz di Walter de Bibbesworth, G 262 e 268; per il senso di ‘palizzata’ e per la storia del lemma si veda Möhren 2000, pp. 158-161. Il paragone col vetro non è quasi mai usato per indicare la fragilità di un oggetto nella letteratura medievale; un raro esempio si trova in Alain Chartier, Livre de l’Espérance, 16, 1-2: Homs qui est formé de terre, / foible com vaissel de verre.

50 In questo caso il verbo meint dovrebbe derivare da maner (maindre) nel senso di ‘abitare, dimorare, risiedere, permanere’ oppure di ‘persistere, perdurare’, a indicare la risurrezione di Cristo dopo la morte. Formule analoghe, anche se con altri termini, sono infatti abbastanza ricorrenti nelle canzoni di crociata; si veda la nota a Thibaut de Champagne RS 6, 1-2: Seignor, sachiez, qui or ne s’an ira / en cele terre ou Diex fu mors et vis, nonché RS 1020a=1022, 25-26: Outre la mer, en cele sainte ter‹r›e / ou Dieus fu nés et ou fu mors et vis. Per la lirica provenzale si veda Guillem Figueira BdT 217.7, 24.

51 L’ipermetria del verso potrebbe essere eliminata sopprimendo il que iniziale, oppure riducendo oncore a ore come al v. 7. Vista l’apparente ridondanza della forma m’i, si potrebbe addirittura pensare di ridurre l’espressione ne m’i puis a un più regolare n’i puis.

53 L’espressione cors saint accompagna abitualmente un nome proprio e significa semplicemente ‘santo’. Thiolier-Méjean preferisce in questo caso il senso di ‘reliquia’, appoggiandosi probabilmente all’eccezione di Chrétien de Troyes, Charrette 4653. A mio parere, anche in questo caso occorre tener conto del tono prevalentemente ironico delle repliche di Henri de Lacy e tradurre di conseguenza ‘salma venerata’ (si veda il senso di ‘salma’ attestato in TL 2, 905, 28ss., s.v. cors¹).

57 Il verso ricorda in qualche modo il virgiliano omnia vincit amor di Buc. X, 69.

60 Per l’aggettivo meint sostantivato con verbo al singolare si veda per esempio Roman de Troie, 7104: le jor i perdi mainz le chief e Chronique des Ducs de Normandie, 7763: D’eus i a sanz dotance mainz / qui de plaies se deut e plaint. Si veda anche Jensen § 539, p. 258.

61 Oltre alla consueta possibilità di considerare sir(e) monosillabico, per eliminare l’ipermetria si potrebbe sopprimere l’articolo le, oppure quens, che però è simmetrico ai vv. 13 e 37.

64-66 Il richiamo alle sofferenze patite da Cristo per il riscatto dell’umanità è tipico delle canzoni di crociata, ma le formule di Walter sono inedite e appartengono forse più alla trattatistica morale che alla lirica (si può forse stabilire un’analogia con Maistre Renaut RS 886). Riferimenti al sangue versato da Cristo si trovano in Huon de Saint-Quentin RS 1576, 29 e Thibaut de Champagne RS 273, 8-10; particolarmente dettagliata è la descrizione di RS 1548a, 37-48, che è anche l’unico testo a evocare esplicitamente l’inferno. Sul dovere di ripagare il sacrificio salvifico di Cristo si veda la nota 19-20 di Conon de Béthune RS 1125 e la nota 11 di Thibaut de Champagne RS 273.

70 Il relativo qi avrà valore ipotetico; si veda Ménard § 76, p. 88.

71-72 Si è detto che il testo doveva probabilmente continuare con altre strofi. In ogni caso la chiusa proverbiale, se non risolve definitivamente il dibattito, costituisce una possibile conclusione. Il senso è vicino a quello del proverbio italiano “chi è causa del suo mal pianga se stesso”.