3 Avec ha qui valore concessivo (Bédier traduce «malgré ma grande misère»). Cfr. Bédier-Aubry 1909, p. 114.
4morir n’afoler. Iterazione sinonimica. La lezione foler, riportata dai soli manoscritti KX e quindi non sostenuta dalla ricostruzione stemmatica, va interpretata come variante senza prefisso di afoler, sebbene non si possa escludere che si tratti dell’omografo foler ‘diventare folle’, ‘comportarsi da folle’. Cfr. il v. 20, in cui l’aggettivo fox è riferito a chi pensa che la donna possa infrangere il legame che la unisce al suo uomo, di cui al v. 38.
5terre sauvage. L’aggettivo sauvage, più spesso usato nel linguaggio cortese nel significato di ‘avverso, crudele’ in riferimento a Amore o alla donna amata (vedi ad esempio Perrin d'Angicourt RS 552, v. 12: «que, quant plus l’aim et plus la truis sauvage»; Thibaut de Champagne RS 714, v. 4: «Ainz puis Amors ne fui vers moi sauvage»; Thibaut de Champagne RS 1467, v. 4: «si la truis vers moi sauvage»; per l’ambito provenzale Peirol, BdT 366,9, vv. 9-10: «Si.m fai tort ni.m mostr’orguoill, / A mi es fer’e salvatge»; per l’ambito italiano V 108 Tomaso da Faenza, v. 14: «istata m’è sempre salvagia e guerera»), serve qui invece a connotare il paese d’oltremare dove si trova l’amato e da cui l’amante non vede nessuno fare ritorno. Identica espressione in Roman de la Rose, vv. 7519-7520: «Li mariniers qui par mer nage / Cerchant mainte terre sauvage», tradotto poi in Fiore LVI 1-2 «Il marinaio che tuttor navicando / va per lo mar cercando terra istrana». Si veda in proposito Leonardi 1994, commento a 74,10: «ed en strano paese e ’n crudel soe», dove si sottolinea l’equivalenza semantica di (i) strano e sauvage e l’appartenenza dei due termini al campo semantico dell’amor de lonh, con riferimento a Gaucelm Faidit, BdT 167,2, v. 5 «q’en pays estraing», cui si può accostare V 597 Chiaro Davanzati, v. 1: «Adimorando ’n istrano paese» (l’espressione corrisponde al terra lonhdana della canzone di Jaufre Rudel Quan lo rius de la fontana BdT 262,3, v. 8: «Amors de terra lonhdana», e al lontana terra della canzone di Re Federico Dolze meo drudo, e!, va’ .te .ne V 48, vv. 11-12: «dicioché, più disiai, / il. mi. tolle lontana terra»). Il luogo rimanda inoltre ad un motivo di carattere parafolclorico, quello della terra lontana o paese lontano da cui nessuno può mai fare ritorno, situato oltremare e frequentato da personaggi, come il vagabondo gabbatore o il folle per amore, che sono solitamente muniti degli accessori tipici del pellegrino, la schiavina e il bastone. Si veda in proposito Avalle 1989, pp. 14-16, 105-107 e il commento al v. 51. A questo stesso motivo va ricondotto anche il refrain «A Dieu commant amouretes, / Car je m’en vois / Souspirant en terre estrange» (B 12, su cui si veda il commento a VII 29-30). Nel Charroi de Nîmes, vv. 773-774: «Quant il venront enz el regne sauvage, / S’en serviront Jhesu l’esperitable», viene definito sauvage il territorio dominato dai Saraceni, che Guillaume si appresta a riconquistare. Va inoltre notato che nel linguaggio cortese anche estrange, come sauvage, può assumere il significato di ‘avverso, crudele’ (vedi ad es. Gace Brulé RS 562=115, vv. 11-12: «ce qu’ele m’est si estraigne / fait l’amour croistre e dobler»; Bernart de Ventadorn, BdT 70,30, vv. 33-36: «Ma donna fo al comensar / franch’e de bela companha; / e per so la dei mas lauzar / que si.m fas fer’et estranha»; L 205 [V 716] Guittone d'Arezzo, v. 11: «e sse’ leggiadra ed altissosa e strana»).
8A sostegno della lezione di α, Contini 1978, p. 53, cita il v. 3 del Chastelain de Couci RS 40, «m’adoucist si le cuer et rassouage», sulla cui fortuna si veda Gruber 1983, in Formisano 1990, pp. 339-356. Si consideri, inoltre, che la variante di γ è ripetuta anche al v. 56 e confermata, per questo luogo, dalla totalità dei manoscritti.
j’en oi. Lectio singularis di En di difficile decifrazione, a conclusione della lacuna relativa alla prima strofa. La variante di K è invece puramente grafica (sulla grafia ai per oi, cfr. Pope 1973, § 518).
9La variante crierons di γ, considerata erronea da Bédier, che la utilizza per la costruzione del suo stemma (vedi Bédier-Aubry 1909, pp. 109-110), è invece da ritenersi adiafora (prima persona anziché terza persona, in riferimento all’intera cristianità). In questo caso, la lezione di α è confermata da En (crieront = α + En). Su Outree, grido di marcia dei pellegrini, vedi Paris 1880, pp. 44-45.
11por = α + En. Contini 1978, p. 56 ritiene presumibilmente incongruo l’impiego del neutro quoi in En, in luogo del qui (= cui) riportato dagli altri codici (come anche al v. 59). Va comunque notato che nel francese antico l’impiego di quoi in riferimento a persona è tutt’altro che raro. Si veda in proposito Foulet 1972, § 257 e Jensen 1990, § 436.
14l’an = α + En; voi = γ (voie) + En (la lezione è confermata dalla voce del verbo veoir presente in M, contro iert di CT); trespasser = CT (trespasseis) + En, contro il passer di M e il rapasser di γ (un’alternanza repasser / trespasser si registra anche in XV 47). Il presente indicativo di En, incongruo se si dà a tant que valore di ‘finché’ (la costruzione richiederebbe in tal caso un congiuntivo), non crea problemi in contesto consecutivo, cioè se tant que viene messo in relazione con il lonc del verso precedente: tant lonc que + indicativo. La difficoltà di collegare tant a lonc è sufficiente a spiegare la varietà delle lezioni, che andranno presumibilmente considerate come il risultato di tentativi di interpretazione e quindi come rifacimenti arbitrari. Da questo punto di vista, rimanendo nell’ambito del rifacimento meno radicale, quello della famiglia α, diventa più probabile l’ipotesi che il testo di M (tant que l’an verrai passer) possa derivare da una correzione della lezione erronea filtrata in CT, piuttosto che da un diverso ramo della tradizione.
15il est en pelerinage. Costruzione asindetica, confermata dalla variante isolata que mut di En, in cui la congiunzione è esplicita. Analoga costruzione asindetica al v. 19.
17Il termine lignage (prov. linhatge) rimanda al lessico feudale e ai valori di fedeltà e abnegazione nei confronti del signore vigenti all’interno del clan (vedi anche il commento al v. 38).
20fox. L’aggettivo esprime un’idea della follia come mancanza, infrazione, trasgressione ai doveri cortesi (cfr. De amore, II xxxii 86 «Nemo duplici potest amore ligari»), in accezione tipicamente trobadorica. Secondo Dragonetti 1959, nella poesia francese la «folie amoureuse» viene invece solitamente intesa come passione irrazionale.
27La lezione è sostenuta dall’accordo di γ con En e confermata dal v. 7 «on ai meza m’ententa» della già citata canzone di Bernard de Ventadorn (su cui si veda inoltre la nota ai vv. 11 e 39), anch’essa in coblas doblas, con alternanza di rime piane e tronche. La prima delle due strofe con rime in -enta -is è qui riecheggiata nelle strofe iii e iv, come dimostra l’uso comune di diverse parole in rima: nella iii strofa, oltre entente / ententa, gente / genta, atalente / atalenta; nella iv strofa, vente / venta, païs / païs, sente / senta.
j’ai mise m’entente. Metre s’entente en aucun vale per ‘porsi al servizio di qualcuno’ ed esprime quindi la traditio personae, su cui si veda la nota a II 31-32. In ambito italiano lo stilema viene impiegato in V 737 Chiaro Davanzati, vv. 1-2 «Gientile mia gioia, in chui mess’o mia ’ntenza».
28Lo stemma non fornisce indicazioni relative alla scelta del monosillabo iniziale. La lezione adottata è quindi quella del manoscritto base.
je nen. Il testo ammetterebbe anche una trascrizione je n’en, con pronome pleonastico o riferibile a cil, che tuttavia risulterebbe meno funzionale all’interpretazione proposta, dove si tende a sottolineare la condizione di assoluta infelicità in cui si trova la donna.
29-30L’inscindibilità del legame che unisce la donna al suo uomo (vedi la nota ai vv. 4 e 20), qui espresso nei termini del linguaggio feudale, è ragione sufficiente a sperare nel ricongiungimento.
39La lezione adottata è sostenuta dall’accordo di En con γ. L’incipit della citata canzone di Bernart de Ventadorn, qui riecheggiato, ci è pervenuto in due versioni alternative: «Can la do(u)ss’aura venta» (nei codici C, RV, Ma, con l’aggettivo posto dopo il sostantivo nei codici NO) e «Can la freid(a) aura (freidura) venta» (nella famiglia ADbG). Quest’ultima versione è stata messa a testo sia da Appel sia da Lazar, che la considerano difficilior. Non è escluso quindi, come nota Contini 1978, p. 58, che la lezione di α sia stata influenzata dall’incipit facilior.
40Rispetto alla singularis di En, la lezione di α e γ, in cui viene ripetuto il douce del verso precedente, si configura come banalizzante, come potrebbe confermare la presenza della combinazione douz païs nel refrain utilizzato per la v strofe della canzone V, equivalente al dolze terra di V 58 Giacomino Pugliese, vv. 34-35: «in dolze terra dimoranza face / madonna, c’alo Fiore sta vicino». Il motivo del vento proveniente dal paese della persona amata (vedi Contini 1974, p. 275, nota; d’Heur 1972; Spaggiari 1985), ampiamente attestato nella lirica provenzale (negli incipit di Peire Vidal BdT 364,1 Ab l’alen tir vas me l’aire e Marcabru BdT 293,2 A l’alena del ven doussa, e nella cantiga de amigo BdT 392,5a Oi, altas undas), si riscontra anche nel Charroi de Nîmes.
42mon. Lectio singularis di En.
46mantel. Come già notato in Contini 1978, p. 59, «par desoz mon mantel gris» rimanda ai vv. 23-24 di una canzone di Guglielmo d’Aquitania (BdT 183,1): «Enquer me lais Dieus viure tan / qu’aia mas mans soz son mantel». Ancora più evidente l’affinità del lessico e della situazione a due luoghi di Bernart Marti, BdT 63,8, vv. 33-35: «Assatz val mais qu’emperaire, / Si desotz son mantel vayre / Josta son bel cors m’aiziu», dove vayre è sinonimo di gris; BdT 63,7a, vv. 52-56: «q’ieu no.l serai ja mensongiers / — qant piegz seria qe Judas — / qe en dormen e en veillan mi desvesti dal som mantel / m’es vis qe mos cors s’i sejorn», dove la sottrazione del mantello rappresenta la fine di una relazione amorosa, interrotta per volontà della donna amata. Nei luoghi citati il mantello è dunque immagine della disponibilità, anche fisica, della donna, che viene auspicata o rimpianta. La donna può donare il proprio mantello e quindi dividerlo con l’amante, cioè concedergli il proprio amore, così come negarglielo, cioè interrompere la relazione amorosa. Come alla donna del nostro componimento anche all’amante della canzone di Bernart Marti appena citata, sembra (m’es vis / m’est vis) di dividere il mantello con la persona amata, irraggiungibile. Ambedue gli amanti sono comunque prigionieri del loro amore, tanto che l’impossibilità di soddisfare i propri desideri non può implicare la rinuncia («q’ieu no.l serai ja mensongiers»).
gris. L’aggettivo gris, sinonimo di vair, rimanda invece ad un preciso campo semantico, quello degli attributi di potere, ricchezza e nobiltà, già chiamato in causa da Spaggiari 1985, pp. 252-253, che segnala i vv. 41-42 di una canzone di Guglielmo IX (BdT 183,10): «Aissi guerpisc joi e deport / e vair e gris e sembeli» e i vv. 29-30 della canzone di crociata RS 1548a: «Deguerpit ad e vair e gris, / Chastel e viles e citez». Quest’ultima presenta anche un’analoga struttura metrico-musicale. In ambedue i luoghi, la dittologia vair e gris ha valore di sostantivo indicante un tipo di pelliccia (cfr. i termini del francese moderno ‘petit-gris’ e ‘vair’, quest’ultimo equivalente all’italiano ‘vaio’). Sempre in Spaggiari 1985, pp. 252-253 si nota inoltre che nel passo riguardante l’equipaggiamento dei crociati, contenuto nella bolla Quantum predecessores con cui Eugenio III proclama la seconda crociata, è presente un ammonimento a non munirsi di abiti preziosi («vestibus variis aut grisiis»). La dittologia vair e gris nello stesso significato è ricorrente anche in alcuni testi italiani del duecento di area settentrionale (vedi ad es. la Istoria dello Pseudo Uguccione, vv. 51-560, v. 177: «lo vaio et lo grig[i]o [et] l’armellino» e vv. 661-892, v. 877: «né vaio né grigio, né pelliccione»; Uguccione da Lodi, Libro, vv. 62-64: «Quel qe fosse segnore dal levant’ al ponente / dig vair e deli grisi, del’òr e del’arçente / le vile e li casteli aves’ en tenimente», e v. 267: «dus’ e cont’ e marqesi, qe porta gris’ e vair’», ecc.), nonché in un componimento di Giacomo d’Aquino, V 41, v. 5-8: «vaio né griso, né nulla gioia che sia, / io non voria / né sengnoria, / ma tutavia / veder lo bello viso», dove è forse presente l’eco della canzone di Guglielmo («joi e deport / e vair e gris»).
mon mantel gris. Il mantello variegato può comunque appartenere solo alla donna, come dimostra l’impiego del possessivo son nelle canzoni di Bernart Marti e Guglielmo, a soggetto maschile, e del possessivo mon nella nostra canzone, a soggetto femminile. Esso è simbolo di potere, cioè di sovranità, ed è possibile che, al di là delle implicazioni di carattere erotico e carnale, vada interpretato come una metafora del rapporto di vassallaggio intercorrente tra amante e donna amata. Non si può inoltre escludere un’allusione alla condizione senza scampo dell’amante cortese, nell’ambito della visione paradossale dell’amore, come sembrano suggerire alcuni versi di un sonetto di Monte Andrea (V 692, vv. 1-4 «Di svariato colore portto vesta: / là dove sta, comprende mio efetto. / Uno solo punto di me fuori non ne. sta: / in sì onesta vita son coretto, / portto di tutti mali, che co. me sta»), dove vesta di svariato colore potrebbe equivalere a mantel gris.
50Il termine convoier designa la scorta, costituita da parenti e amici, che accompagna il crociato, equipaggiato da pellegrino, dalla partenza alla prima tappa (Bédier-Aubry 1909, p. 117).
51La chemise non è altro che la schiavina indossata alla partenza dal crociato-pellegrino, che procedeva a piedi nudi, munito di bisaccia e bastone, fino alla tappa successiva, dove riprendeva gli abiti usuali (Bédier-Aubry 1909, pp. 116-117). Vedi in proposito il commento al v. 5.
54-55Mancando il riscontro di En, che è lacunoso, si è messa a testo la lezione di α, cui appartiene il manoscritto base: delez contro avec di γ e toute nuit contro mult estroit di γ. Per quest’ultimo caso si tengano presenti le considerazioni di Bédier, che adotta invece la lezione di γ: «Mout estroit (OKX) vaut mieux que toute nuit, parce que l’on a déja la nuit au v. 53» (Bédier-Aubry 1909, p. 117).